benedettosedicesimo

4.27.2005

La vigna di Benedetto XVI e il sacrificio

di GIAN PAOLO BONANI

Definendosi «umile lavoratore nella vigna del Signore», il nuovo Pastore di Roma non ha usato un'immagine scontata di semplicità e fatica. Chi ha meditato sul significato della parola e della rappresentazione della vite nella tradizione religiosa, biblica e cristiana sa che citando il lavoro di vignaiolo il Papa appena prescelto ha assunto tutti i rischi, stimolanti forse, ma pericolosi della missione del cristiano. Cosa sia la vite nel pensiero evangelico lo ha spiegato lo stesso Cristo, citato nel vangelo di Giovanni. «Io sono la vite, dice, e il Padre mio è l'agricoltore». Lavorare alla vite del Signore, dunque significa operare sul corpo di Cristo, come fa il sacerdote chiamato ogni giorno ad evocarlo nel rito eucaristico. Come fa ogni teologo che continuamente indaga sul mistero per rendere più evidenti e trasmissibili le verità di fede. Come fa ogni pastore che interviene a favore della propria comunità che è corpo di Cristo e che come tale va curata. «Io sono la vite, ribadisce il vangelo giovanneo, e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui questi porta molto frutto». Il Papa vignaiolo si propone una missione apostolica a tutto campo. La vite è la pianta della Chiesa e la cura è affidata a tutti coloro che credono. I pastori riconosciuti dedicano l'intera propria energia a svolgere l'opera del buon vignaiolo. Il terreno per l'impianto della vite va pulito e sarchiato. Vanno eliminate tutte le piante inutili e concorrenti al messaggio del Cristo. Questo è compito di chi studia, approfondisce e trasmette la dottrina. Il terreno vergine per l'impianto è l'anima dei potenziali credenti che deve essere preparata alla comprensione del messaggio divino. Le barbatelle vanno piantate a giusta profondità, concimate e irrigate. L'assistenza spirituale, la comunicazione della dottrina, la conferma della fede attraverso i riti: questo è il compito costante, attento e assiduo del sacerdote lavoratore della vigna cristiana. La pianta che cresce e si estende va sostenuta con adeguati puntelli. «Educazione» prende il significato da questo educere, «tirare fuori sostenendo» che è l'azione di tutti i veri maestri. Benedetto XVI è studioso e insegnante e ha visto la parte di vigna fino a ieri affidatagli estendersi nel tempo. Pastore universale vede la sua missione oggi nell'universalizzazione di questo processo. Per ottenere questo risultato al vignaiolo occorre anche qualche intervento deciso. La sanità della pianta richiede attenzione e recisioni. Lo sviluppo dei tralci non può essere indeterminato e debole. D'altro canto è lo stesso Cristo che ha definito il limite e le opportunità: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, il Padre lo recide e pota quello che porta frutto, affinché porti più frutti». Come nella visione d'Israele del profeta Osea, il Papa vuole vedere la chiesa «come una vigna lussureggiante, carica di frutti» un albero che «quanto più ha frutti abbondanti tanto più moltiplica i suoi altari». La vigna è un luogo di vocazioni e di ricerca proselitistica dunque alla quale il Papa non può sfuggire per la sua stessa vocazione di inviato di Dio. La vigna è tutto e non può essere scambiata con altro bene o potenza di questo mondo. Nello stupendo apologo di Giotam, riportato nelle pagine bibliche dei Giudici, gli alberi si rivolgono alla vite e le dicono: Vieni tu e regna su di noi. Ma la vite risponde: Posso io lasciare il mio vino che rallegra gli dei e gli uomini per dondolarmi sopra gli altri alberi?». La missione della salvezza cristiana è unica e assoluta. Il Papa non può essere tentato di potere temporale, ma neppure la Chiesa come vigna di Cristo può darsi compiti che non siano quelli della salvezza dell'anima di ogni credente in Cristo. La vite è il luogo di incontro alla quale il cristiano, a cominciare dal Papa, deve essere legato in piena umiltà e dedizione. Nella Genesi è profetizzato che lo scettro non sarebbe stato tolto da Giuda finché non fosse venuto «colui al quale lo scettro appartiene e a cui i popoli dovranno obbedire. Egli lega alla vite il suo asinello, a generosa vite il puledro dell'asina sua. Egli lava nel vino il suo vestito e nel sangue dell'uva il suo mantello». Il libro dell'Origine mette in chiaro il vincolo del cristiano all'albero Redentore e spiega che la Redenzione sarà sacrificio. Vino e sangue dell'uva sono la figura della Passione di Gesù che si compie a salvaguardia della vigna. Ogni cristiano è legato all'albero della vita come un docile asinello, operoso e duro nel suo andare, un'immagine questa cara a molti mistici moderni, fra i quali Kolbe, Padre Pio, Escrivà e a Giovanni Paolo II. Leggendo le parole della Bibbia appare più chiaro il perché dell'associazione costante nell'iconografia cristiana della vite e della croce. L'Ampelos pagano di origini dionisiache si tramuta nel simbolo della gioia e del sacrificio dell'Agnello nell'Apocalisse di Giovanni. La vigna è il luogo dove il Padre agricoltore manda gli operai promettendo giusta ricompensa e senza fare distinzioni, dice Matteo, fra quanti arrivano di prim'ora e quanti all'ultima. La parabola offre una vista sull'importanza dei rapporti fra la vite-Chiesa e quanti non conoscono ancora Cristo e il Vangelo, i nuovi «gentili» ai quali la catechesi di Benedetto XVI intende dirigersi fin dal subito. A chi si vuole avvicinare al Vangelo non viene fatta promessa di benessere e felicità gratuita. Viene invece richiesto impegno e rigore e dunque adesione convinta ai principi della fede. L'impegno è, per tutti, di essere «lavoratori» produttivi e sinceri. Nel vangelo di Matteo è narrata un'altra parabola di Cristo che chiarisce il rischio di chi si dedica alla promozione della vite vera, il regno di Dio. Aderendo al messaggio senza fedeltà ci si può tramutare in operai corrotti, vignaioli perfidi che dopo aver maltrattato gli inviati del Signore, ne uccidono addirittura il Figlio. Quando Benedetto XVI si presenta come umile lavoratore della vigna non parla solo di comodo o faticoso lavoro, ma allude invece a due rischi evidenti: quello di poter essere infedele ai compiti necessari per coltivare la vigna-Corpo di Cristo e quello di poter essere vittima dell'adempimento del messaggio del Padre. Come non leggere in questo apologo fondamentale scelto da Benedetto XVI, oltre che una codifica del mandato papale nel suo significato più alto, anche una rilettura della vicenda storica di Giovanni Paolo II, braccato spesso dall'invidia di massmedia ostili e fisicamente soggetto ad imboscate da parte dei servitori di questo mondo? Nel lavorare alla vigna, come dimostrano i tanti martiri della Chiesa in tutti i tempi, la vita viene messa in gioco e non vi è fede reale se essa non passa in secondo piano rispetto all'accettazione della croce. Tralci e pampini, corredati da grappoli ubertosi sono sospesi ai bracci dello strumento della Passione: solo lì sembrano poter dare il frutto che la vocazione cristiana, del pastore e del laico, richiede e promette. Da ultimo occorre ricordare che non vi è neppure distanza fra le parole del Papa sulla vigna e quelle pronunciate per il suo affidamento alle mani della Madonna. La Madre di Gesù, Colei che secondo la liturgia etiopica «produce nel suo seno il frutto dell'oblazione», viene salutata dai padri bizantini con questo elogio: «Salve, o vera vite che hai prodotto il grappolo maturo da cui è stillato il vino che rallegra le anime di quanti con fede ti glorificano». Ecco che essere lavoratori della vigna è incontrarsi necessariamente con Maria, che la tradizione di Gerusalemme ha sempre conosciuto come Terra Vergine entro cui ha radicato l'Albero della vita. «Da te è uscito il grappolo che doveva essere spremuto sotto il torchio della croce», dice San Pier Damiani. Lavorare nella vigna, per Benedetto XVI, è sì proclamare il rischio sostantivo, l'aut-aut kierkegaardiano della vita di fede, ma è insieme affidarsi alla fiduciosa misericordia dell'andare a Cristo per Maria.