benedettosedicesimo

4.24.2005

Joseph Ratzinger

di Camillo Ruini
Scrivo queste righe sul nuovo Papa quando si è almeno un poco sedimentata in me l’emozione provata all’atto della sua elezione, e mentre siamo ancora in attesa dell’omelia che egli pronuncerà alla Messa per l’inizio solenne del suo ministero. Mi muovo dunque soltanto sulla scorta di ciò che il teologo e il cardinale Joseph Ratzinger finora ha detto, scritto, testimoniato nell’arco della sua intensa vita.

Una formula con la quale egli è stato a volte etichettato, a motivo del suo incarico di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, è quella di "custode dell’ortodossia": ogni opinionista almeno un poco attento ed informato sapeva però quanto questa formula per Joseph Ratzinger fosse inadeguata. Può essere comunque opportuno partire da essa per allargarla progressivamente e accostarsi così, per quanto possibile, alla realtà della sua persona.
Custode dell’ortodossia egli è stato certamente, nel senso di coraggioso difensore del contenuto di verità della fede. I suoi scritti, da Introduzione al cristianesimo del 1968, il primo che lo ha reso celebre in Italia, fino a Fede Verità Tolleranza, pubblicato nel 2003 direttamente in italiano, mostrano però che, già a livello dei contenuti, Joseph Ratzinger è teologo della tradizione viva, concepisce cioè il deposito della fede come un’eredità da far sempre fruttificare, in rapporto agli sviluppi e agli interrogativi che ciascuna stagione e situazione porta con sé: oggi specialmente a confronto con quella problematicità radicale che contesta ogni certezza di verità e ogni forza vincolante del bene morale, come pure con la tendenza a relativizzare Gesù Cristo dentro a un multiforme e poco definito universo religioso.

Per Joseph Ratzinger invece Gesù Cristo è "la misura del vero umanesimo", come ha detto nell’omelia di lunedì scorso alla Messa per l’elezione del nuovo Papa, e la fede in Cristo non è soltanto adesione intellettuale ma integrale scelta di vita. Perciò il custode dell’ortodossia è stato sempre, con la medesima passione, il sostenitore e il testimone della forza salvifica dell’amore cristiano: per lui la rivelazione del vero volto di Dio in Gesù Cristo ci chiama ad entrare in una nuova forma di vita, che scopre Dio nel prossimo e pertanto vede nell’altro il fratello.

Diventa facile comprendere, in questa prospettiva, come uno studioso così acuto e creativo sia sempre stato non soltanto fedele alla Chiesa, ma innamorato della Chiesa. Egli sa bene che proprio nella Chiesa si realizza in concreto una tale forma di vita. E più radicalmente che ciò è possibile, nonostante tutti i limiti umani, perché il mistero di Gesù Cristo e di Dio Padre è presente e opera nella Chiesa.

Questo è anche il motivo della straordinaria passione per la liturgia che ha sempre animato Joseph Ratzinger, come del suo amore per il raccoglimento e la preghiera: nella liturgia infatti, e soprattutto nell’Eucaristia, si attua, come dice il Concilio Vaticano II, l’opera della nostra redenzione, diventa cioè presente ed efficace il mistero della morte e risurrezione di Cristo.
L’amore autentico è fatalmente esigente, non rimane inerte di fronte ai pericoli che minacciano coloro che amiamo. Perciò l’amore del teologo e poi cardinale Ratzinger per la Chiesa e la liturgia lo ha spinto, e quasi costretto, a denunciare con sincerità e coraggio la "sporcizia", le storture, le chiusure anacronistiche o le aperture ingannatrici che ha visto presenti nella comunità cristiana. Ma queste denunce sono sempre state esclusivamente il frutto dell’amore, mai il sintomo di un distacco interiore o di una presunzione intellettuale.

La sera di martedì 19 aprile Joseph Ratzinger è apparso alla loggia di San Pietro vestito di bianco e si è definito "un semplice e umile lavoratore nella Vigna del Signore": il modo in cui egli aveva speso fino a quel momento tutta la sua vita è garanzia dell’autenticità di queste parole. Il Signore ha scelto infatti per continuare il servizio di Pietro, dopo il grandissimo e santo Papa Giovanni Paolo II, un uomo davvero semplice e umile, mite e gentile, che nello stesso tempo è stato fatto partecipe, in misura straordinaria, di quella luce del Verbo di Dio tramite la quale sono state create tutte le cose.