benedettosedicesimo

4.24.2005

Il fascino della Chiesa di Roma

di Inos Biffi

Nei giorni in cui il nuovo vescovo di Roma, incomincia il suo ministero quale vicario di Pietro, vengono in mente alcune perspicue e ardenti parole di Ignazio di Antiochia e Ireneo di Lione, i due venerandi Padri, che ebbero la sorte fortunata di vedere e di ascoltare quanti avevano incontrato i discepoli degli apostoli.
Sono parole antiche, e pure non sorpassate, perché intramontabilmente entrate a far parte di quella tradizione di cui la Chiesa non cessa mai di vivere.

Esse ci riportano alla coscienza ecclesiale degli inizi, quando, a motivo dell’apostolo che era stato scelto come "Pietra", la sede romana già appariva in un suo ruolo singolare per la professione cristiana.

Ignazio di Antiochia, agli inizi del secolo secondo, salutava con fervore la comunità di Roma, come "la Chiesa che ha ricevuto misericordia dalla magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo suo unico Figlio; la Chiesa beneamata e illuminata dalla volontà di colui che ha voluto tutto ciò che esiste, secondo la sua fede e il suo amore per Gesù Cristo nostro Dio; la Chiesa che presiede nella regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, degna di essere chiamata beata […], che presiede alla carità": un’espressione quest’ultima che chiaramente allude a una preminenza di quella Chiesa, così eloquentemente elogiata in ciò che è essenziale, cioè la fede e la carità.

L’altra voce che è confortevole e suggestivo risentire è quella di Ireneo, vescovo di Lione, martire negli anni 202-203, proveniente dall’Asia, dove si era formato alla scuola di Policarpo "ammaestrato dagli Apostoli" e "in consuetudine con molti che avevano visto il Signore".

Nel libro "Contro le eresie" – la prima grande e splendida somma del Credo cristiano – l’elogio e la considerazione della singolarità della Chiesa di Roma sono ancora più espliciti e decisivi per la fede e la verifica della sua autenticità.

Questa fede è vivente e visibile nella "tradizione che viene dagli Apostoli", che è possibile reperire e constatare nelle Chiese contrassegnate dalla successione apostolica. "Ma poiché – egli scrive – sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo. Con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa".

Non siamo certo di fronte a una definizione del primato della Chiesa di Roma e del suo vescovo nei termini e nel linguaggio che saranno delle epoche seguenti e della riflessione successiva. E tuttavia, vengono da Ireneo rilevate in modo speciale, quali prerogative distintive di tale Chiesa, la grandezza, l’antichità, la notorietà e la fondazione petrina e paolina: prerogative, d’altronde, enunziate in ordine non a un onore ma al criterio e alla garanzia della tradizione della verità cristiana.
Un dissenso con tale Chiesa comprometterebbe la comunione della fede.

La storia, nella complessità delle sue non raramente tribolate e aspre vicissitudini, ha poi variamente e forse non sempre felicemente espresso questa "principalità", la quale però non può in alcun caso cadere dalla coscienza e dalla prassi della Chiesa che Gesù Cristo ha istituito, fondandola sulla roccia – appunto – che è Pietro.
L’intenzione profonda della definizione, al Concilio Vaticano I, del primato di Pietro – e, a precise e rigorose condizioni, dell’infallibilità del magistero del vescovo di Roma – non poté che essere la fedeltà a questa stessa coscienza ecclesiale, trasparente al principio della Chiesa nelle preziose testimonianze del mistico Ignazio e del magnifico Ireneo.