benedettosedicesimo

4.23.2005

Il nome di Benedetto radice di fede, cultura e civiltà

di Andrea Riccardi

La scelta del nome di Benedetto da parte del nuovo Papa può avere sorpreso molti. D'altra parte tanti giovani non hanno conosciuto un Papa diverso da quello che portava il nome di Giovanni Paolo II. Un nuovo Papa è sempre una sorpresa. Ma la catena dei Papi continua. L'intreccio dei loro nomi richiama, allo stesso tempo, la continuità del ministero e la diversità delle persone che si succedono sulla cattedra di Pietro. Il mutamento del nome, tipico della vita monastica e di quella religiosa, è divenuto una tradizione per i Papi da moltissimi secoli. Ha un significato profondo: il distacco dalla propria storia ma anche il radicamento nel nuovo ministero. Sullo sfondo di questa tradizione c'è il mutamento del nome di Simone da parte di Gesù. Del resto il nome (anche nella tradizione biblica) è qualcosa di decisivo. Ma bisogna pensare che, per tanti secoli, quando non c'erano i media, l'unica cosa che il popolo cristiano nel mondo (con l'eccezione dei romani) conosceva a proposito del Papa era il suo nome e qualche scritto per i più dotti. Allora il nome diceva quasi tutto del nuovo Papa. Oggi è molto differente.
Eppure il nome resta importante, anche perché è scelto e non ricevuto. Un nome è qualcosa di diverso e di più di un programma. D'altronde non si può parlare del programma del Papa come di quello di un leader politico. Giovanni Paolo II, di fronte a coloro che si interrogavano sul suo programma agli inizi del pontificato, disse semplicemente: "La linea del Papa: questa linea è la fede". Il nome del Papa esprime, più che il programma, proprio la radice storica e personale che egli vuole evocare.
Per il nuovo Papa la memoria va immediatamente al suo più recente predecessore, Giacomo della Chiesa, che assunse il nome di Benedetto XV. Papa dal 1914 al 1922, conobbe il dramma della guerra con la frantumazione dell'Europa e la nazionalizzazione degli stessi cattolici. Nel cuore della Prima Guerra Mondiale, la Santa Sede di Benedetto XV rappresentò un prezioso riferimento tra gli odi e i nazionalismi, anzi l'unica istituzione europea non travolta dalle passioni nazionali. Il Papa, che parlò della guerra come di un'"inutile strage", fu oggetto di una vera campagna di denigrazione da parte dei paesi in guerra.
Per Papa della Chiesa la prima guerra mondiale fu "il suicidio dell'Europa civile", di questo "giardino del mondo", come scriveva nei suoi accorati appelli. Benedetto XV è il Papa della pace e della riconciliazione. È quel Papa che, nel 1920, dopo la conclusione della guerra, scrive la prima enciclica sulla pace, Pacem Dei munus. Si tratta di un testo impressionante in cui Benedetto XV denuncia la fragilità di una pace che non si fondi sulla riconciliazione: "Se quasi dovunque la guerra in qualche modo ebbe fine, e furono firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antichi rancori". Nessuna pace ha valore - aggiunge - "se insieme non si sopiscano gli odi e le inimicizie per mezzo di una riconciliazione basata sulla carità vicendevole". Per realizzare la riconciliazione c'è bisogno della fede: "A risanar le ferite del genere umano è necessario che vi appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il samaritano era la figura e l'immagine" - dichiara questo Papa, che era per formazione un grande diplomatico.
Benedetto XV è stato una figura fragile, ma anche un forte e tenace lavoratore, infaticabile ricercatore di soluzioni pacifiche nel mondo e uomo di governo tra i tanti problemi della Chiesa uscita dalla crisi ottocentesca. Questo Papa - spesso lo si dimentica - è anche all'origine della rifondazione novecentesca delle missioni. L'Enciclica Maximum illud del 1919 rappresenta la Magna Charta di un nuovo impulso alle missioni, con un preciso orientamento al distacco dagli interessi politici delle potenze e di concentrazione sulla comunicazione del Vangelo. A questi propositi si collega, ad esempio, il tentativo di aprire una nunziatura a Pechino al di là della politica delle potenze europee, che rappresentava un forte impedimento all'evangelizzazione. Il Papa riesce a stabilire una delegazione in Cina, che è all'inizio del rinnovamento del cattolicesimo di quel paese. Nella stessa linea è il grande e rispettoso impegno di Benedetto XV per l'Oriente cattolico, che lo porta a fondare nel 1917 la congregazione per le Chiese orientali. Il suo pontificato conosce nell'impero ottomano la tragedia dei massacri dei cristiani, che Papa della Chiesa difende in tutti i modi: con la parola, con l'azione caritatevole e con quella diplomatica.
La visione missionaria di Benedetto XV si esplica in un grande rispetto per i popoli a cui la Chiesa si rivolge. Per lui il missionario non è portatore di interessi di parte, ma del Vangelo: "È necessario che chi predica il Vangelo sia uomo di Dio..." - afferma il Papa -. La Maximum illud si conclude con la prospettiva della rinascita di una sta-
gione missionaria: "E qui, sembrandoci che il divino Maestro esorti noi pure, come un dì Pietro con quelle parole: "prendi il largo", quanto ardore di paterna carità ci spinge a voler condurre tutta intera l'umanità all'abbraccio di Lui!". Significativamente il pontificato di Giacomo della Chiesa è segnato dall'intreccio dell'opera per la pace e la riconciliazione con il rilancio delle missioni.
Benedetto XV è l'unico Papa contemporaneo a portare questo nome prima di Joseph Ratzinger. Tuttavia il nome di Benedetto non può non richiamare, prima di tutto, il grande regolatore del monachesimo occidentale, personaggio dai contorni storici sfumati, ma grande riferimento per il monachesimo, la storia della Chiesa e della civiltà europea. In tempi di forte crisi (quello delle invasioni barbariche di cui parla anche Gregorio Magno, biografo di Benedetto), i figli e le figlie di questo santo hanno costituito comunità cristiane che prendevano sul serio il Vangelo nella sua radicalità e che avevano il loro cuore nella liturgia. Il movimento benedettino ha realizzato un universo di comunità cristiane che erano se stesse e che, per questo, sono divenute isole di umanità in un mondo difficile, che lo hanno umanizzato, e che hanno creato una comunione profonda, a partire dalla fede, tra i differenti popoli europei.
Il nome di Benedetto, nella storia europea e in quella della Chiesa, mostra la profondità della traccia impressa nella storia da un vissuto cristiano autentico che non è senza conseguenze per la società, anzi è creatore di cultura e civiltà. Il santo di Norcia, "consapevolmente ignaro e sapientemente incolto" secondo Gregorio Magno, rappresenta il riferimento per il processo di elaborazione della Regula Benedicti, quel testo normativo, intessuto di Sacra Scrittura, di esperienza e sapienza monastica, che ha formato autentiche comunità di monaci lungo i secoli. Sono quella "fortissima specie dei cenobiti" - come dice la Regula nel primo capo - che, essendo cristiani e monaci, ha costituito una nervatura decisiva per l'Europa. Sono questi "forti" credenti che nascono da una comunità, piccola o grande, ma che ha la sua fonte nella liturgia: così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli - ha recentemente detto il Cardinale Ratzinger -.
Il nome di Benedetto richiama anche quella sintonia, antica e levigata dalla storia, tra il mondo del Vangelo e quello della romanità, non solo perché dieci dei quindici papi con questo nome furono romani. Gregorio Magno, i Papi che hanno visto la decadenza di Roma antica, hanno però vissuto una rinascita di un mondo attraverso l'allargarsi della comunione dei cristiani in Europa, a cui ha dato un contributo decisivo il monachesimo benedettino. Quella sintesi tra cristianesimo e romanità (che non è confusione) rappresenta un riferimento nella storia d'Europa che si unifica. E non è un'unità astratta attorno a un'ideologia, ma concreta attorno a precisi punti di riferimento, tra cui spicca Roma, il suo Vescovo, la sua fede e la sua tradizione. Non un potere imperiale, ma la sorgente di una comunione.
Oggi, dopo il crollo dell'impero sovietico e del suo internazionalismo, di fronte alla lacunosa costruzione europea, si pone nuovamente il problema dell'unità dell'Europa. Roma ha qualcosa da dire all'Europa. Roma ha qualcosa da dire nei rapporti tra Nord e Sud del mondo. Il Card. Ratzinger è stato molto sensibile all'idea di Roma connessa al ministero del successore di Pietro. Egli ha scritto: "Non nella separazione e nella contrapposizione, ma solo nella communio si realizza l'identità di ciascuno. A questo genere di unità cerca di rendere servizio un cristiano, che non romano, come io sono, in Roma lavora e si sente anche in profonda consonanza con ciò che ha significato per tutti i popoli quella cittadinanza romana...". Ed oggi Joseph Ratzinger non è solo partecipe culturalmente e idealmente di questa cittadinanza, ma è Vescovo di Roma con il nome di Papa Benedetto XVI.