benedettosedicesimo

4.23.2005

Lo sguardo del cardinale Ratzinger sulla socialdemocrazia europea

di Stefano Ceccanti

Parlando al Senato della Repubblica il 13 maggio 2004 con una lectio magistralis sul tema “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani” l’allora cardinale Ratzinger si sofferma diffusamente del socialismo, segnalando anzitutto che esso “si suddivise presto in due diverse vie, quella totalitaria e quella democratica”.
Ratzinger si dedica quindi a definire l’itinerario dell’una e dell’altra. Della seconda, di cui mostra di avere piena conoscenza in tutte le sue sfumature europee e “contaminazioni” culturali, segnala che si affermò “come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali…le ha arricchite e corrette” e che in molti Paesi è stato in grado di coinvolgere credenti “al di là delle confessioni”, a cominciare dal socialismo religioso inglese dove il Labour “era il partito dei cattolici, che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore, né in quello liberale”. La stessa esperienza del Zentrum cattolico nella Repubblica di Weimar è letta come quella di un partito “più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici prussiane e protestanti”.

In conclusione, rispetto a tale filone, si dice che “in molte cose il socialismo democratico era ed è (il corsivo è mio) vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale”.

L’uso del verbo presente senza ulteriori cautele indica con evidenza che, ferme restando le indubbie differenze di valutazione che esistono sul tema delle libertà civili (di cui Ratzinger parla nelle ulteriori parti del discorso), e il grande peso che esse hanno nel pensiero di Ratzinger, com’era evidente nell’omelia del giorno di inizio del Conclave, esse non annullano quella valutazione complessivamente positiva.

Sono quindi da attendersi occasioni di critica, senza reticenze, in cui ciascuno esporrà le ragioni su cui si basa, anche a partire dai diversi ruoli e funzioni, ma esse da parte del nuovo pontefice non saranno mai il frutto di logiche politiche provinciali o di prevenzioni ideologiche, in questo in evidente continuità col pontificato precedente. Nessun concordismo, quindi, né sottovalutazione delle difficoltà; ma sarebbe sbagliato avviarsi ad affrontarle con prevenzione e sottovalutazione delle conoscenze dell’interlocutore.

Del modello totalitario di socialismo viene invece segnalato il carattere di “religione secolare”, la connessione stringente “con una filosofia della storia rigidamente materialistica ed ateistica”, in cui i valori non sono più “indipendenti dagli scopi del progresso”, con la conseguenza pratica di un “dogmatismo economico” in cui la morale è subordinata “alle esigenze del sistema e alle sue promesse di futuro”, da cui i problemi di ricostruzione morale più che economica nella parte centrale e orientale dell’Europa.

Nessuna confusione, quindi, né indebita assimilazione, tra crisi del socialismo totalitario e difficoltà della socialdemocrazia a ridefinire se stessa.

L’ottima conoscenza delle esperienze europee è certo filtrata dal dialogo ravvicinato tra Chiesa cattolica e Spd dopo la svolta di Bad Godesberg del 1959. Non casualmente essa fu realizzata un anno dopo che a Monaco si era svolta, sotto l’organizzazione dell’Accademia culturale della diocesi, un colloquio sui rapporti tra cristianesimo e socialismo con la partecipazione di autorevoli leader del partito e di mons. Karl Forster, in seguito divenuto segretario della Conferenza episcopale. In parallelo alla deideologizzazione della Spd la Conferenza episcopale si svincolò da un appoggio preferenziale verso la Cdu-Csu, con un più chiaro profilo di autonomia, indipendenza e aperta interlocuzione con tutte le forze politiche.