benedettosedicesimo

4.25.2005

Compromesso. Ortodossia e collegialità

di Giorgio Tonini

Un papa di transizione e di devoluzione (e un ammiratore della socialdemocrazia)

Due mi parrebbero, a una primissima analisi, i significati evidenti nella scelta, da parte del Conclave, di Joseph Ratzinger a 264° successore di Pietro: un significato interno alla Chiesa e uno relativo al suo ruolo nel mondo.
Il significato interno alla Chiesa è reso evidente dall’età del nuovo Papa: Ratzinger ha appena compiuto 78 anni. Li porta molto bene, sia nel fisico, sia (come è ancor più evidente) nella lucidità intellettuale. Ma anche senza voler porre limiti alla Divina Provvidenza, è normale pensare che i cardinali abbiano preferito far succedere, al lunghissimo regno di Giovanni Paolo II, un pontificato quantitativamente (il piano qualitativo è altra storia) "di transizione". In questa scelta, abbinata al profilo di Ratzinger, sembra di poter cogliere un progetto sulla Chiesa: fermezza sul piano dottrinale, abbinata a maggiore collegialità nel governo della cattolicità. Ratzinger sembra infatti la personalità che meglio può far incontrare entrambe queste esigenze: grazie al ruolo lungamente esercitato, a fianco di Papa Wojtyla, come difensore della fede, meglio di chiunque altro può rassicurare, sul piano dell’ortodossia, quanti temono una Chiesa alla deriva nel mondo; al tempo stesso, la sua notoriamente scarsa propensione al governo della macchina curiale, lascia immaginare una risposta di apertura alle istanze di maggiore collegialità, certamente della Curia romana (e questo non è detto che sarebbe un bene), ma forse anche dell’episcopato nel suo insieme, lungo una linea che potrebbe non lasciar cadere le richieste in tal senso avanzate, a nome di molte chiese locali, dal cardinal Martini.
Una delle possibili spiegazioni della rapida elezione, dopo tre sole fumate nere, potrebbe trovarsi proprio nel raggiunto compromesso ortodossia-collegialità con l’altra "grande anima" del Conclave. E l’understatement delle prime parole di Benedetto XVI sembrano confermare questa intenzione: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice umile lavoratore nella vigna del Signore». Wojtyla non avrebbe mai detto «i signori cardinali mi hanno eletto», ma semmai «lo Spirito Santo ha voluto chiamarmi e chiedo a Maria santissima di aiutarmi a esserne degno...».
Il secondo significato riguarda il progetto di "Chiesa nel mondo" che traspare dalla scelta. Il Conclave ha deciso che dopo Wojtyla, il papa venuto dall’Est allora comunista, e prima di un papa del Terzo Mondo, ove ormai risiede la maggioranza dei cattolici, fosse necessario un passaggio di consolidamento delle radici europee della cristianità. E’ come se la Chiesa cattolica, nata nel Mediterraneo e poi identificatasi per un millennio con l’Europa, prima di lanciarsi appieno nella globalizzazione che la attraversa, prima di assumere, dall’America Latina, la guida del grande Sud del mondo, contendendola all’Islam, sentisse il bisogno di rafforzare le sue radici europee. E’ come se la Chiesa cattolica avvertisse che senza un dialogo ritrovato con l’Occidente secolarizzato, vana sarebbe la sua spinta oltre l’Occidente stesso. In fondo, questo è anche il paradosso che papa Benedetto XVI eredita dal suo grande predecessore: il paradosso di un Est europeo liberato eroicamente dall’oppressione comunista e che si è rapidamente abbandonato a una secolarizzazione assai più dura e radicale di quella della stessa Europa occidentale, per non parlare del Nordamerica. La scelta di Ratzinger, un europeo, uno dei più grandi pensatori europei viventi, equivale a dire che non può esserci evangelizzazione che non passi per la «discesa agli inferi» dentro e oltre la secolarizzazione, attraverso la cultura, la riflessione, il pensiero, il dialogo tra filosofia e teologia. La scelta del nome Benedetto sembra rinviare a questa visione: più che a Benedetto XV, il papa che condannò la prima guerra mondiale definendola una «inutile strage» (ma Ratzinger difficilmente può essere considerato un «pacifista») la scelta del nome sembra ispirata a san Benedetto, scelto da Paolo VI (Montini era intriso di spiritualità benedettina) come patrono d’Europa. Dunque Benedetto come prova delle «radici cristiane dell’Europa», ma (sembrerebbe) in uno spirito «montiniano»: perché quella benedettina non è una Chiesa combattente e crociata, è la Chiesa monastica del primato dell’interiorità e della spiritualità, è la Chiesa dell’ora et labora, dei monasteri dove si coltivava la terra, e si alimentava il dialogo tra la fede e la cultura, in tutte le sue dimensioni, anche quelle apparentemente più lontane.
Ultima notazione, che è obbligatorio richiamare al lettore del Riformista. Ratzinger è un grande ammiratore della socialdemocrazia, sia nella versione laburista, che in quella continentale. Nella famosa conferenza tenuta il 13 maggio dello scorso anno in Senato (e poi pubblicata nel libro dialogo con Pera), il futuro papa diceva: «Il socialismo democratico è stato in grado, a partire dal suo punto di partenza, di inserirsi all’interno dei due modelli esistenti, come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali, le ha arricchite e corrette. Esso si rivelò qui anche come qualcosa che andava al di là delle confessioni: in Inghilterra esso era il partito dei cattolici, che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore, né in quello liberale. Anche nella Germania guglielmina il centro cattolico poteva sentirsi più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici rigidamente prussiane e protestanti. In molte cose il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale».