Sant'Agostino, la sua passione
di Gian Maria Vian
Ripensare i fondamenti della fede cristiana. Per renderla comprensibile e plausibile all’uomo di oggi. E dunque per annunciare Cristo. Così si può riassumere il senso dell’opera teologica di Joseph Ratzinger, brillante teologo già prima del Concilio Vaticano II, divenuto a cinquant’anni arcivescovo e cardinale, fino alla sua chiamata a Roma – quattro anni dopo – per guidare il più importante dicastero della Curia, quello dottrinale. Una guida naturalmente molto impegnativa – e lunga quasi un quarto di secolo (preceduta solo da quella, in tempi molto diversi, di Francesco Barberini, dal 1633 al 1679) – ma che non ha mai interrotto l’attività intellettuale del porporato. Molto presto Benedetto XVI – che pure sulla loggia ha usato parole semplici – viene riconosciuto come la mente teologicamente più acuta e preparata del Collegio cardinalizio, di cui dal 2002 è decano, anche da quanti non sono in sintonia con l’antico professore dell’Università di Ratisbona, dal sorriso timido e lievemente ironico, che non di rado si può incontrare la mattina presto, mentre attraversa piazza San Pietro per recarsi al "lavoro", con sottana nera, basco e una cartella di cuoio, come un semplice curiale d’altri tempi, gentile nel rispondere ai saluti. La formazione e le prime pubblicazioni di Ratzinger ruotano intorno a due grandi figure della tradizione cristiana: sant’Agostino e san Bonaventura. Al genio africano il giovane studioso dedica la sua tesi di dottorato, pubblicata nel 1954 ma tradotta in italiano nel 1971 (Popolo e casa di Dio in sant’Agostino, Jaca Book), sull’onda del successo riscosso anche in Italia due anni prima dall’ Introduzione al cristianesimo (Queriniana), il commento al Credo apostolico che nel 1968 aveva venduto in Germania cinquantamila copie in pochi mesi, meravigliando l’autore. Dalla riflessione ecclesiologica basata sugli scritti agostiniani (ma anche su quelli del filodonatista Ticonio), Ratzinger passa all’armoniosa teologia della storia sviluppata dal pensatore francescano medievale. È poi la volta di temi importanti, in libri presto tradotti in molte lingue, tra cui ovviamente l’italiano: nel 1962 Fraternità cristiana (Paoline), nel 1966, con Karl Rahner, Episcopato e primato (Morcelliana), nel 1971 Il nuovo popolo di Dio (Queriniana). Anche se Agostino e Bonaventura rimangono fondamentali, come sottolinea Ratzinger nella prefazione al volume di Aidan Nichols che introduce al suo pensiero teologico: «Il lavoro di ricerca fu fecondo in quanto già allora potei constatare che una spiritualizzazione antiistituzionale del concetto di popolo era aliena da Agostino e dalla tradizione occidentale». Mentre lo studio su Bonaventura «doveva venire ripreso altre volte per ricordare a teologi unilateralmente propensi al presente e al futuro l’ineliminabile legame al passato, al centro vivo che è Cristo, del pensiero e della realtà cristiana». Ma anche per equilibrare il rapporto tra Scrittura e tradizione, o tra primato e collegialità. Attraverso i suoi studi Ratzinger dialoga con i più grandi teologi cattolici del Novecento (Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar, Yves Congar, Jean Daniélou, Romano Guardini) e poi con i maggiori autori protestanti e ortodossi. Accanto ai libri Ratzinger moltiplica gli articoli in riviste scientifiche, frutto spesso di lezioni o conferenze, e anche del dibattito con gli studenti e altri interlocutori, che influisce sulla stesura finale dei suoi testi. E appunto la capacità di colloquiare è una delle radici del larghissimo successo degli scritti del teologo, ben al di là della cerchia ristretta degli specialisti. Preoccupato sin dalla fine degli anni Sessanta per le fughe in avanti che travolgono e tradiscono le intenzioni del Concilio, Ratzinger lancia più volte l’allarme, esponendosi a critiche aspre che dapprima lo dipingono come un pessimista e finiscono per costruire l’immagine caricaturale di un nuovo "grande inquisitore". Come teologo e pastore vede invece con lucidità e respinge le tendenze che rischiano di appiattire l’esperienza cristiana sulla dimensione politica, che inaspriscono le critiche alla Chiesa, che dissipano il patrimonio liturgico e la sua capacità pedagogica, che arrivano addirittura a relativizzare la salvezza portata da Cristo. Per Ratzinger, che al di là di stereotipi è davvero ecumenico, il protestantesimo è domanda più che pericolo, e lo stesso ateismo è una sfida, perché il cristianesimo non sia proposto come insieme di teorie ma come «la forza di una vita proveniente dalle profondità della fede, la forza di quell’immenso amore che solo può dire d’aver conosciuto il Dio di cui sta scritto che è Amore». Come sottolinea la conclusione dell’Introduzione al cristianesimo: «Chi davvero crede, sa che si marcia sempre "in avanti", non in un circolo vizioso. Chi crede, sa che la storia non assomiglia affatto alla tela di Penelope, continuamente ritessuta per poi venir continuamente disfatta». Infatti, il mondo nuovo la cui immagine chiude la Bibbia non è un’utopia, ma «la certezza cui andiamo incontro tenuti per mano dalla fede. Esiste ed è già in atto una redenzione del mondo: ecco la ferma fiducia che sostiene il cristiano, galvanizzandolo con la convinzione che vale davvero la pena anche oggi esser cristiani».
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