benedettosedicesimo

4.22.2005

"Ha gli occhi buoni". E tutti lo studiano

di Gian Maria Vian

Benedetto XVI sarà un grande papa. Non sappiamo come, anche se da molte ore ascoltiamo e leggiamo milioni di parole – non tutte convincenti o fondate – sul romano pontefice che i cardinali hanno eletto dopo un solo giorno di conclave. Non lo sappiamo perché ogni uomo salito sulla cattedra romana, una volta divenuto successore di Pietro, assume per così dire una nuova personalità. Come esprime anche il cambiamento del nome. Benedetto, un nome che parla. E che la gente percepisce con intuito immediato, magari anche senza sapere che Benedetto XV è stato il papa della pace e delle missioni, o che san Benedetto è, per decisione di Paolo VI, patrono principale dell’Europa. Avvertendo oscuramente – ma con la sicurezza donata ai più semplici – che sarà un pontefice benedetto. Così come aveva avvertito l’umile autorità del decano del collegio cardinalizio mentre celebrava le esequie del suo predecessore o mentre spiegava le letture bibliche della messa «per il papa da eleggere» che ha preceduto il brevissimo conclave. «Ha gli occhi buoni», diceva sottovoce ieri mattina un’anziana signora romana a un’amica, in fila all’ambulatorio. E pur protestando la sua ignoranza, la semplice donna confidava che quell’uomo – di cui aveva sentito parlare come di un cardinale «molto preparato» – a lei ispirava fiducia e proprio lui sarebbe stato il più degno successore di Giovanni Paolo II. Ecco, anche se non sappiamo come sarà grande Benedetto XVI, avvertiamo tutti che la statura – spirituale, prima ancora che intellettuale – del pastore e del teologo è stata individuata, dal collegio dei cardinali, come il motivo più evidente per sceglierlo a reggere la sede romana. In ventiquattr’ore. Confermando un dato che balza agli occhi di chi guardi alla storia dell’ultimo secolo e mezzo. Proprio da quando è iniziato l’ultimo declino del potere temporale, la Chiesa di Roma ha saputo esprimere – conclave dopo conclave, da Pio IX sino a Benedetto XVI – personalità d’indubbio spessore storico. Joseph Ratzinger è stato infatti un intellettuale di assoluto rilievo. Come teologo, soprattutto, e come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, capace di colloquiare con tutti: i suoi studenti in Germania, intellettuali laici di prestigio in Italia e fuori. Ma il Conclave ha eletto in lui il vescovo di Roma. Per la prima volta in tempi recenti, i cardinali martedì sera si sono assiepati alle logge di San Pietro – intorno a Benedetto XVI affacciato alla loggia centrale – colorando di rosso la facciata della basilica. Sembrava una di quelle miniature medievali che esprimono in questo modo la collegialità della Chiesa di Roma, sottolineata ieri dal papa nella Cappella Sistina. Quelle macchie rosse dicevano che il nuovo papa non è e non sarà solo. Anche perché è entrato nel cuore dei cristiani con le sue ultime parole prima di varcare la porta del Conclave: «Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza, il gesto capace di toccare il cuore, la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane». Parole che tutti hanno capito.