benedettosedicesimo

4.22.2005

Ma il suo vero nome è Pietro

di Dino Boffo

«Tu seguimi». Per ben sette volte nell’omelia della messa esequiale in suffragio di Giovanni Paolo II, il cardinale Joseph Ratzinger aveva ripetuto l’imperioso invito di Gesù a Pietro, come a garantire che era quella la chiave di lettura più certa per interpretare l’intera esistenza di Karol Wojtyla. Da elemento retorico a presentimento autobiografico? Non lo sappiamo. Di sicuro c’è che quell’invito pasquale di Gesù ieri pomeriggio è risuonato ancora una volta nella Cappella Sistina, attraverso il voto dei cardinali elettori, ma rivolto stavolta allo stesso Joseph Ratzinger. «Tu seguimi». E lui, abbandonando tutto, l’ha seguito.
Colpisce ancora una volta la rapidità dell’elezione. Evidentemente la Chiesa, specie quella dei nostri tempi, non sopporta di essere orfana. Quella del sabato santo è un’assenza perentoria ma – grazie a Dio – circoscritta, un’assenza che preme sulle pareti per sbocciare prima possibile e fiorire nella Pasqua. Oggi è Pasqua. Benedetto XVI è il dono che il Signore ci fa in questo mistico tempo pasquale dell’anno 2005.
Di lui crediamo di sapere molto, e altro ancora ci verrà riversato nei prossimi giorni e anni. Impareremo presto peraltro a misurarci con lui, lui nel suo nuovo ruolo. Ricordandoci magari di quello che un giorno disse un esperto di queste cose quale il cardinale Siri: «Un Papa nasce nel conclave. Viene al mondo quando nella Sistina riceve i voti della maggioranza dei cardinali. In quel preciso momento l’eletto cessa di essere tutto ciò che è stato prima». Finale di citazione un po’ troppo severa? No, riflette una saggezza antica della Chiesa. Noi amiamo pensare che nel Papa nuovo ritroveremo tutto ciò che in lui abbiamo già imparato ad apprezzare, e molto di più. Egli ora è in una condizione assolutamente inedita, non paragonabile ad altre, che gli farà sprigionare le riserve dalla Provvidenza custodite allo scopo.
In una conferenza sul ministero petrino che tenne, guarda caso, il 18 aprile di 14 anni fa, il prefetto della Congregazione per la fede diceva che c’è una confortante e indubitabile convergenza nei dati biblici circa la verità sul primato. «Non è un’invenzione», obiettò. E insistette sull’idea di Pietro-roccia. Roccia che si oppone alla marea di incredulità, roccia contro la riduzione della Parola a quanto c’è di facilmente plausibile. Per questo esiste – spiegava – un collegamento stretto tra la pietra d’inciampo e la roccia. E per questo il chiamato non deve spaventarsi, non può indietreggiare. Proprio così, ha detto. Non aveva indietreggiato neppure Karol Wojtyla, nonostante il suo innato pudore. Anzi, il pontificato romano con lui stava toccando un’autorevolezza grande. E concludeva: «C’è un grande bisogno del Papa oggi, anche fuori della Chiesa».
Ora possiamo dirgli, nel caso non lo sapesse, che c’è un grande bisogno di lui, della sua fede e della sua energia creativa per aiutarci a guardare dalla parte dove spunta l’aurora.
La folla ieri sera l’ha già applaudito scandendo il nome di Benedetto. Così lo chiameranno gli atti apostolici e i giornali. Ma il suo nome più vero, ricordiamocelo, è Pietro.