benedettosedicesimo

5.03.2005

Il coraggio della fede

di Giorgio Campanini


L'elezione del cardinale Joseph Ratzinger alla Cattedra di Pietro rappresenta, per certi aspetti, un elemento di assoluta novità nella storia recente della Chiesa. Se non è insolito il fatto che a reggere la Chiesa sia stato un uomo con limitata esperienza pastorale diretta (pochi gli anni di episcopato a Monaco, come del resto avvenne anche per Roncalli a Venezia e per Montini a Milano), per la prima volta, da circa due secoli a questa parte, un teologo – quale Ratzinger è sempre stato, e in un certo senso si sente ancora – diventa Pontefice.
Numerosi, anche fra i recenti predecessori, sono stati i Pontefici di vasta cultura teologica, da Paolo VI a Giovanni Paolo II; ma Benedetto XVI è stato sin dall'inizio – e tale è sostanzialmente rimasto anche nel delicato incarico di responsabile della Congregazione per la dottrina della fede – un professore di teologia.
In un certo senso, dal suo "curriculum" di teologo si può, dunque, tentare di individuare quali saranno le linee del suo pontificato. Una prima e centrale linea – riconducibile ad una delle sue opere fondamentali, "Introduzione al Cristianesimo" (1968) – emerge dalla consapevolezza della strutturale "drammaticità" della situazione del Cristianesimo nel mondo contemporaneo e, dunque, dalla necessità di una sua riattualizzazione e di una sua ripresa, nella scia del Vaticano II, senza con questo indulgere alla cultura della peggiore modernità. Il grande tema conciliare dell'aggiornamento – che presuppone insieme fedeltà all'antico e apertura al nuovo – trovava in questa "Introduzione" una delle sue migliori espressioni. Il pontificato potrebbe rappresentarne una concreta traduzione nella vita della Chiesa.
Un secondo tema, precocemente presente al Ratzinger teologo, è stato quello del ruolo e della funzione del Papa e del suo rapporto con l'episcopato ("Episcopato e primato", 1966, in collaborazione - e l'abbinamento appare assai significativo - con Karl Rahner). Il problema, come noto, fu ben presente all'ultimo Giovanni Paolo II, ma non ebbe, non poté avere, adeguati sviluppi; e, tuttavia, come leggere e interpretare il "primato" di Pietro è questione ancora aperta e decisiva per il dialogo ecumenico.
L'allora giovane teologo di "Episcopato e primato" non può essere del tutto rimosso dalla memoria di chi è diventato ora Benedetto XVI.
È, infine, da prevedersi una specifica attenzione all'Europa, oggetto di interessante e vivace dialogo con il filosofo e uomo politico Marcello Pera (cfr Pera-Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, Cristianesimo, Islam, 2004).
Qui l'allora cardinale, pur riconoscendo l'esigenza di aprire l'Europa ad altre culture e a diverse tradizioni di pensiero, metteva in guardia contro il rischio di un "rinnegamento" dei valori cristiani e rivendicava al Cristianesimo, soprattutto nella sua forma cattolica, il diritto di proporsi come messaggio di una più alta e definitiva salvezza. In questo senso l'Europa non avrebbe potuto accontentarsi di un Cristianesimo ridotto a pura "religione civile"; ma era invitata a riscoprire la "grande tradizione spirituale" dell'Occidente.
La scelta stessa del nome – in riferimento sia al Benedetto XV della riconciliazione e della pace fra i popoli europei, sia, e forse soprattutto, al Benedetto monaco e fondatore dell'Europa cristiana, quella che seppe nelle sue epoche migliori conciliare preghiera e lavoro, e dunque attitudine alla contemplazione e progresso tecnologico – sta ad indicare quanto la "rifondazione spirituale" del vecchio continente stia a cuore al nuovo Pontefice. È possibile che anche questa possa essere, alla fine, una delle priorità del successore-continuatore di Giovanni Paolo II: non per circoscrivere il cattolicesimo negli ormai ristretti confini dell'Europa, ma per fare di essa il lievito destinato a fermentare tutte le culture e tutte le civiltà.