benedettosedicesimo

5.01.2005

Ghigliottina dello Spirito

di Davide Rondoni

All’indomani dell’inizio solenne del Pontificato, Benedetto XVI ha ricordato di fronte ai suoi connazionali rimasti a Roma alcuni sentimenti che lo animavano durante il conclave da cui è uscito eletto. A un certo punto ha raccontato: «Lo sviluppo delle votazioni faceva capire che lentamente la "ghigliottina" si avvicinava e mirava a me». La ghigliottina è un colpo secco. Non so se qualcuno l’aveva mai usata come metafora per indicare un’azione dello Spirito Santo. Si era parlato di colombe, di lingue di fuoco, di venti e venticelli. Di ghigliottina non mi pare. Eppure il Papa – questo che non è un poeta come il predecessore – ha subito coniato un’immagine originale, dato il contesto a cui si riferisce. C’è dell’ironia, certo. Ma Benedetto XVI non è tipo da parlare a vanvera. Se dice ghigliottina indica qualcosa di estremo. Qualcosa da comprendere meglio. Proviamoci. L’esperienza di essere a un punto della propria vita irrevocabile l’abbiamo fatta tutti. Trovarci a un limite, superato il quale le cose cambiano. Sono i momenti del rischio, e della solitudine. Vi aveva alluso lo stesso Papa, qualche giorno fa, durante l’omelia in Piazza san Pietro, evocando l’enorme solitudine che sta alle sue spalle, ma aggiungendo che non si tratta di vera solitudine. Perché ci sono le schiere dei santi, perché c’è l’amicizia della Chiesa. Il corpo di un uomo solo è diventato un corpo condiviso. Niente è come quell’amicizia, niente unisce come quell’unità, nemmeno il sesso.

La ghigliottina dello Spirito Santo ha separato con un colpo netto la vita di Joseph Ratzinger da quella, nuova e con nuovo nome, di Benedetto XVI. Anche Giovanni Paolo I aveva usato parole simili, riferendo del suo tremore, al momento di accettare. Ma la ghigliottina è un taglio secco, segna una differenza. Dunque che razza di ghigliottina è quella di cui parla il Papa? È la fede.
Come lui stesso ha infatti ricordato, in quel momento di tensione suprema, ha accettato l’invito dei signori cardinali anche perché un suo collega gli aveva mandato un bigliettino ricordandogli una certa cosa. Ovvero che Ratzinger medesimo aveva parlato della fede di Wojtyla, al grande funerale, contrassegnata dalla parola «seguimi». La ghigliottina è quell’invito. Quel commovente, eccezionale invito. Non si ha fede perché si è bravi. Si ha fede perché si segue un incontro che cambia la percezione della vita e il giudizio su di essa. Molti pensano che la fede sia una specie di test di capacità morali. Se raggiungi un certo punteggio hai fede. No, la fede è un evento, una differenza che entra nella vita innanzitutto come coscienza che non si è più soli e persi. Che non si è inutili. Nessuno. Non si è più persone qualunque, con un destino di creature finite. Si è figli desiderati. La fede è riconoscere che Dio ti da del tu, e dice: il tuo cuore, la tua persona intera sono fatti d’eterno. La fede è un colpo che separa dalla presunzione di salvarsi da soli. Di essere padroni di sé. Infatti, non i farisei, non i bravi, seguivano Gesù, ma coloro che sapevano d’esser poveretti. Poveri di vita, di significato adeguato al vivere.

Il Papa è colui che segue per primo. Intorno alla Chiesa se ne sentono di tutti i colori. E intorno a quel che dovrebbe fare il nuovo Papa, pure. Come se avesse anzitutto i problemi di un grande gestore contabile, di un condottiero di uomini puri e forti. Invece si tratta della fede. Della sua e del suo popolo. Lo ha detto più volte. Si tratta di incontrare ogni giorno una presenza eccezionale e di seguirla. In quanti intorno a noi desiderano quel colpo di ghigliottina, questa scelta senza condizioni che Dio compie? Nella Chiesa che il grande "ghigliottinato" ora guida con il suo sorriso serio e lieto, non si indugi su questioni secondarie. Non si inviti a «fare i bravi». Non ci si vergogni di Cristo. Si mostri, cioè, cosa significa lasciarsi prendere, e seguire Colui che solo dà la vita desiderata.