benedettosedicesimo

4.29.2005

Il campo e il sentiero

di Paolo Bustaffa


"Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia della verità, l'andar d'accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l'approvazione da parte dell'opinione pubblica dominante". È il card. Joseph Ratzinger a ricordarlo nell'intervento d'apertura della conferenza internazionale sulla coscienza, tenutosi a Orvieto nel 1994. Una riflessione e una scelta di vita che, appartenendo a credenti e non credenti, diventano un "luogo" di confronto e di ricerca aperto alle grandi questioni. In questo orizzonte, grazie al teologo Ratzinger, si è dipanato nel tempo un costante e affascinante dialogo tra fede e ragione in cui anche recentemente hanno preso la parola pensatori di diversa ispirazione. A Benedetto XVI sono sempre state familiari le "due ali" che Giovanni Paolo II ha posto al centro del suo magistero per dire a ogni uomo che dispiegandole insieme è possibile volare verso se stesso, verso gli altri, verso Dio. La coscienza è stata e rimane il terreno in cui il Papa ha messo e continuerà a mettere il seme della verità, è il suo "campo preferito": qui lo incontreremo frequentemente.
Già nei primissimi suoi interventi papali si è colto l'appello al risveglio della coscienza perché la riscoperta di questa altissima dignità consentirà alla cultura, in particolare a quella occidentale, di uscire da un'eclissi che dura da molto tempo. A fondamento di questo richiamo è il Concilio Vaticano II a cui Benedetto XVI, sorprendendo più d'uno, si è riferito con insistenza. "La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo dove egli è solo con Dio. Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi ma alla quale deve invece obbedire. Questa voce che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa' questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato". Il Concilio, in questo passo della "Gaudium et spes", uno dei grandi inni alla coscienza, ricorda che la scintilla della verità è dentro ogni essere umano e va custodita con cura perché non si spenga.
Custodire non è, dunque, conservare. Benedetto XVI, "custode della fede", lo afferma con chiarezza. Il custode non è il conservatore. Il primo ha parole e gesti di speranza e di fiducia, il secondo ha parole e gesti di paura e di sospetto. Il primo agisce per amore, il secondo per timore. Il primo nella pensosità è gioioso, il secondo nella seriosità è triste. È la passione per la verità, quella verità che rende liberi e, quindi, pienamente uomini, a distinguere l'uno dall'altro. Affascinante percorso quello della coscienza illuminata dalla fede, liberata da contraffazioni, manipolazioni e riduzioni. Benedetto XVI lo indica come strada maestra per giungere a Dio, per far nascere nell'uomo domande su Dio. Aggiunge che si tratta di un sentiero faticoso e stupendo, come tutti quelli che portano alla vetta.