benedettosedicesimo

4.21.2005

Quando disse al Papa: non sei infallibile

di Luigi La Spina

Ha smentito uno dei più collaudati proverbi di quella scienza inesatta che è la vaticanologia. Smentirà anche le previsioni di quella, ancor più inesatta, che scruta il futuro sulle basi del passato. Era il pronosticato d’obbligo per un conclave breve e ha perso la scommessa chi non lo pensava Papa proprio per questo. Sbaglieranno anche coloro che, giudicandolo un feroce conservatore, ora temono che la Chiesa chiuda le sue porte al mondo e si rinserri in una torre dottrinale fatta di severità morale e di angustia dell’intelletto. Il pontificato di Benedetto XVI probabilmente riserverà qualche sorpresa a chi non conosce bene Joseph Ratzinger, tedesco del Sud che, nonostante le apparenze e la lunga esperienza, sia come pastore di diocesi sia come uomo di Curia, conserva nelle pieghe del carattere una punta di timidezza e, perfino, di sentimentalismo. Solo valutando la scelta dei cardinali con minore superficialità, infatti, si può comprendere perché sul suo nome si sia unita, molto in fretta, la larghissima maggioranza del collegio votante. Compreso il suffragio della cosiddetta area progressista del Conclave.

La ricostruzione dei retroscena di questa elezione papale parte necessariamente dai colloqui e dagli interventi che hanno preceduto, dopo la morte di Giovanni Paolo II, la chiusura della Cappella Sistina. Sono due cardinali che tutti conoscono e di cui tutti apprezzano la statura intellettuale, spirituale e il prestigio morale a redigere, con i loro interventi, il bilancio dello stato della Chiesa appena superato il terzo millennio. Sono due coetanei: il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, e l’arcivescovo emerito di Milano, Carlo Maria Martini. Proprio i loro giudizi smentiscono le banali classificazioni che ne fanno due capi di partiti opposti: l’analisi della situazione, invece, è molto simile e la sollecitazione per una scelta che individui una guida all’altezza dei gravi problemi della Chiesa d’oggi, con un programma molto impegnativo, sgomenta l’intera assemblea dei cardinali. La convergenza dell’allarme di questi due «grandi vecchi» spazza immediatamente le ipotesi di candidature di transizione, la scelta di figure di mediazione o di profilo, da tutti i punti di vista, men che altissimo. Gli accenti, tra Ratzinger e Martini, sono naturalmente dissimili. La loro cultura, per entrambi profonda, ha ispirazioni diverse. Il primo risente dalla drammaticità del realismo agostiniano, il secondo ha più fiducia nel valore della testimonianza. Sia nelle omelie e nei discorsi del cardinale tedesco, sia negli interventi e nel testo scritto lasciato ai porporati dal gesuita piemontese si nota, però, un uguale profondo «impegno dell’anima».
Anche altri interventi colpiscono l’uditorio, perché mettono in luce problemi impegnativi. Sono quelli, ad esempio, del primate d’Ungheria László Paskai, il quale sostiene l’esigenza che il carisma del nuovo Papa dia a tutti, credenti ma anche non credenti, un segnale di speranza e riesca a costituire un punto di riferimento morale come lo è stato Giovanni Paolo II. Pure l’opportunità di una riorganizzazione funzionale, amministrativa e legislativa della Curia viene sollecitata dal neocardinale Attilio Nicora con grande chiarezza giuridica.

L’indisponibilità, per problemi di salute, del cardinal Martini alla candidatura e, nel contempo, la difficoltà di contrapporre al prestigio di Ratzinger una personalità di simile valore sulla quale possa convergere una maggioranza alternativa al «teologo» di Karol Wojtyla, inducono tutti a confluire, abbastanza presto, su chi sceglierà il significativo nome di Benedetto XVI.
La prima sorpresa di questo pontificato, del resto, è stata offerta subito, dal primo atto del Papa: proprio la scelta del nome. Tutti conoscevano il ruolo di strettissima collaborazione da lui esercitato con Giovanni Paolo II, confermato anche dalle parole di umile ossequio rivolte al suo predecessore nel breve saluto alla folla plaudente della piazza. Ecco perché ci si aspettava, soprattutto da lui, che il successore di Wojtyla allungasse la serie dei Giovanni Paolo. Invece la continuità è stata proclamata e certamente non sarà rinnegata, ma anche questo piccolo segno di novità fa intravedere il desiderio di marcare immediatamente uno stile diverso.

La finezza intellettuale di Benedetto XVI porterà certamente la Chiesa a riaffermare fermezza di dottrina e rigore morale, ma esclude intransigenze conservatrici come quelle che esaltano i suoi più accesi tifosi e impauriscono i suoi altrettanto accaniti avversari. A titolo esemplificativo della prudente saggezza e del grande equilibrio del nuovo Papa, siamo in grado di rivelare una vicenda significativa che, finora, era rimasta riservata. Sappiamo tutti quali siano le opinioni di Ratzinger sui temi della bioetica e, in generale, della morale. Così, quando un gruppo di vescovi, capitanato soprattutto da quelli americani, consegnò a lui, in piena campagna tra Bush e Kerry per le presidenziali Usa, un documento per sollecitare, proprio in campo etico, una presa di posizione ufficiale da parte del Pontefice, al fine di imporre, con l’infallibilità che possiede il Papa quando parla «ex cathedra», una linea molto intransigente, ci si attendeva un consenso entusiastico del capo della competente Congregazione. Ratzinger lesse questo documento, lo portò e lo fece leggere a Giovanni Paolo II come lo avevano pregato di fare i firmatari. Ma, con loro sorpresa, consigliò il Papa a non aderire a quella richiesta: proprio per non coinvolgere il Santo Padre in una polemica, per di più in una delicata scelta elettorale, che non attiene, in maniera stretta, a credenze di fede, ma comporta anche giudizi di comportamenti umani, approcci culturali, sfumature intellettuali. Questioni in cui un intervento di tale autorevolezza, in quel momento, avrebbe irrigidito, invece di approfondire la discussione con i laici e rischiato di influire pesantemente contro le chances di vittoria del cattolico ma abortista Kerry.

Benedetto XVI farà suo l’ossimoro più in voga per definire il compito del nuovo Papa, quello della «continuità discontinua». Lo farà, proseguendo la grande missione nel mondo di Giovanni Paolo II con uguale energia e rigore. Cercando però, con una generosità d’animo che sorprenderà molti, di associare tutti, credenti e non, alla difesa dei grandi valori etici che hanno distinto le società civili da quelle dominate dalla barbarie.