L’emozione che resta
Di Eugenio Mazzarella
Sono quasi le sei del pomeriggio quando giunge inaspettata la fumata bianca, che scioglie un’attesa palpabile nella sua straordinaria intensità. Piazza San Pietro, sotto un cielo carico di nubi ma anche segnato da squarci rivelatori di una luce improvvisa, è la cifra della speranza che dal popolo cristiano, ma non solo, si riversa sul soglio pontificio. Le immagini sono inequivocabili: i rivoli di folla - soprattutto di romani - si fanno fiume in via della Conciliazione, quella stessa strada che ha accolto e raccolto, pochi giorni fa, l’affetto e l’emozione per l’ultimo saluto a Giovanni Paolo II. Al suono delle campane, dopo una interminabile fumata - peraltro bianca da subito - ecco che la Chiesa torna ad avere il suo pastore.
Un vescovo di Roma, sì, ma soprattutto il capo di una Chiesa universale che Wojtyla ha saputo imporre al mondo intero come guida spirituale: nei suoi rischi di oggi, nell’accecamento fratricida delle guerre di civiltà e nel disorientamento spirituale dell’età della globalizzazione e della tecnica. Ieri, nella piazza bagnata, si consumava l’attesa per un successore che fosse all’altezza di Giovanni Paolo II il grande, il Pontefice alle cui esequie si era levato - vuoi spontaneo, vuoi preparato, ma certo forte, convinto, prepotente persino - il grido «santo, santo», «santo subito» senza attendere. Pochi immaginavano, forse, che nell’anacronismo mediatico di quella fumata (dopo le due nere che pure avevano suscitato emozione e incertezza), in quella resistenza alla modernità che saliva in volute da una Sistina chiusa al «mondo» per giudicarlo ed indirizzarlo, c’era un segno dell’ispirazione, dell’atteggiamento del Papa che quella fumata da lì a poco avrebbe annunziato. Senza far attendere troppo la folla, e il mondo, il collegio cardinalizio ha scelto Joseph Ratzinger, uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, la voce più autorevole che si è affiancata per lunghi anni sul terreno dottrinale all’indirizzo dato alla Chiesa da Wojtyla. Benedetto XVI è il nome che il nuovo Papa si è scelto. E con questo appellativo la folla lo ha salutato, come quando si accoglie colui che è atteso nel nome del Signore. Insomma un’emozione vissuta in San Pietro e sui teleschermi, tanto più forte perché giunta prima del previsto. Propiziata forse proprio dalla nettezza con cui il cardinale Ratzinger, nell’omelia prima del Conclave, ha proposto al collegio cardinalizio la sua visione della Chiesa, delle urgenze che ha davanti. E la prima di esse è tenere ferma la propria identità teologica e dottrinale: la sede di Pietro dovrà essere un centro di certezze, proprio per rispondere alla «dittatura del relativismo». I cardinali hanno così ritenuto che in un mondo in tempesta la scelta migliore fosse quella di una transizione certo - vista l’età del nuovo Pontefice - ma di una transizione forte, nel segno della continuità, e sostenuta dall’indubbia personalità dottrinale del nuovo Papa. Sempre accanto a Wojtyla, anche nei suoi viaggi, il cardinale tedesco oggi Papa ha ben appreso che poi, di Dio, si parla sempre agli uomini e in mezzo agli uomini. Sull’agenda di Ratzinger ci saranno anche i valori di Cristo da condividere e far condividere, quei valori fondativi dell’Europa che il nome di Benedetto da Norcia ben ricorda e che è stato un cruccio di Wojtyla non vedere ricordati nella Carta europea. L’importante, adesso, sarà realizzare quei valori, a partire proprio dall’Europa. E questo monito, nella piazza di ieri sorpresa dalla fumata bianca, è parso risuonare subito tra la folla che d’improvviso si è trovata compatta, festante, quasi gioiosa.
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