benedettosedicesimo

4.21.2005

Quel tocco di sensibilità femminista

di Lucia Annunziata

C’è dentro, di sicuro, il tratto dello scontro, con il movimento e con molte delle aspirazioni delle donne. Eppure una delle più discusse lettere di Ratzinger, quella sugli uomini e sulle donne, riletta ancora oggi che è stato nominato Papa, contiene anche, innegabilmente, un messaggio quasi consolatorio. Consolatorio almeno in un punto, la sicurezza con cui è certificata la nascita uguale dell'essere femminile: «L'umanità è descritta come articolata fin dalla sua origine nella relazione del maschile e del femminile».

Nascita tanto uguale che la successiva guerra fra sessi e conseguente condizione di inferiorità della donna («verso tuo Marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà») è attribuita solo alla caduta dopo il peccato. Ricostruzione non secondaria di un percorso, in particolare per una religione: in fondo quante delle religioni con cui oggi ci misuriamo contengono una originaria parità della donna?

Sarà per questo che, quando apparve nell'agosto del 2004, il testo dell'allora cardinale Joseph Ratzinger suscitò una reazione meno scontata di quanto si anticipasse: la lettera infatti divise le donne, oltraggiando tante, ma convincendo tante altre che la Chiesa si stava ponendo in fondo delle domande nella giusta direzione. Per citare così solo alcuni nomi, in Italia Rossana Rossanda la recensì in toni sostenuti sul manifesto, e così Lidia Menapace e Emma Bonino; ma se ne dichiararono convinte invece Luisa Muraro, una delle teoriche più pure del femminismo, e la giornalista di Rifondazione Ritanna Armeni.

E non è strano che sia così: il testo è infatti costruito intorno a una visione non statica (e in questo senso non dogmatica dunque) dell'identità umana. Basta vedere un bel passaggio che chiude la prima parte, quella definita di antropologia biblica - cioè la rivisitazione della storia di Adamo ed Eva: «La creatura umana nella sua unità di anima e di corpo è qualificata fin dal principio dalla relazione con l'altro da sé. Questa relazione si presenta sempre buona e alterata al tempo stesso.

Essa è buona di una bontà originaria dichiarata da Dio sin dal primo momento della creazione. Essa è però anche alterata dalla disarmonia fra Dio e l'Umanità sopraggiunta con il peccato. Questa alterazione non corrisponde tuttavia né al progetto iniziale di Dio sull'uomo e sulla donna, né alla verità della relazione dei sessi. Ne consegue perciò che questa relazione è buona ma ferita. Ha bisogno di essere guarita».

Una relazione buona ma ferita, che ha bisogno di essere guarita: è il lessico della coppia moderna, sono gli aggettivi e le descrizioni che ricorrono così spesso nelle nostre teste, se non nelle camere delle nostre vite. E' forse un caso che queste parole e non altre siano state scelte?
La lettera di Ratzinger, al di là di tutti i richiami e delle note bibliografico-dottrinarie, ha soprattutto il grande merito di risuonare di molte voci del reale.

E' vero - come scrive una teologa americana, Tina Beattie, autrice del libro «Donna», e sostanzialmente non polemica con la lettera - che «è parte delle bizzarrie della Chiesa che una riflessione sulle donne sia fatta tutta da uomini», ma è anche vero che questi uomini pare abbiano saputo rovistare nell'universo femminile. In particolare nei testi del femminismo, di cui hanno digerito le sofisticate definizioni: la prima delle quali è la differenza fra gender (genere) e sesso. Gender con il suo peso complesso di diversità e sesso con la sua pura definitoria materialità.

Nella parte della lettera di cui più si è discusso, sotto il titolo «L'attualità dei Valori femminili nella vita della società», si definisce così il destino delle donne come la sua «capacità dell'altro». Una frase tirata su dritto dritto dal lessico femminista. Cosa significhi poi questa «capacità dell'altro» è uno dei punti più contestati: «La donna conserva - spiega il testo - l'intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell'altro, alla sua crescita, alla sua protezione». In queste parole si è vista la riproposizione della donna nel ruolo di vestale, moglie, madre.

Ma se questo è vero, questo ruolo tuttavia riceve, nelle parole di Ratzinger, una inusuale espansione in profondità come in ampiezza. La donna viene definita attiva nella famiglia, ma è magistralmente espansa la funzione della famiglia stessa: è nella famiglia che si formano gli uomini, scrive il Cardinale, perché è lì che «essi imparano ad amare in quanto sono amati gratuitamente, imparano il rispetto di ogni altra persona in quanto sono rispettati...

Ogni volta che vengono a mancare queste esperienze fondanti è l'intera società che soffre violenza e diventa a sua volta, generatrice di molteplici violenze». E non finisce qui: «Questo implica - procede la lettera - che le donne siano presenti nel mondo del lavoro e dell'organizzazione sociale e che abbiano accesso a posti di responsabilità che offrano loro la possibilità di ispirare le politiche delle nazioni e di promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali».

E se questo porta a troppo stress per le donne nelle loro diverse funzioni? «Si tratta di armonizzare la legislazione e l'organizzazione del lavoro con le esigenze della missione della donna all'interno della famiglia». Intentendo con questo (e torna la sensibilità femminista) che «il problema non è solo giuridico, economico e organizzativo, è innanzitutto un problema di mentalità, di cultura e di rispetto». Insomma, è vero che nella lettera c'è anche altro, ed è vero che molte possono essere le obiezioni; ma nei suoi punti chiave mi pare che offra una piattaforma adottabile senza svantaggio anche dai laici.