benedettosedicesimo

5.23.2005

Presa sul serio la nostra voglia di felicità

di Davide Rondoni

Nell'inizio c'è tutto, dicono i saggi. Lo sanno i registi. Nell'ingresso di un attore si gioca molto della sua interpretazione. Un grande poeta francese, per indicare l'importanza e il mistero dell'inizio, diceva: il primo verso è dato. L'inizio non è l'apparenza. È come il primo risuonare dell'accento nuovo. La verità di una parola è spesso nell'accento con cui la pronunciamo. Si può pronunciare persino la parola Dio con un accento vuoto, insipido, morto. E anche la parola amore. Che cosa dà l'accento alle parole? La vita, l'esperienza che del contenuto di quelle parole si sta facendo. Oggi, a un mese dalla sua elezione, possiamo tentare di cogliere meglio l' accento di papa Benedetto XVI. Accento tedesco, certo, e lavorato dalla dolcezza e dallo studio di Roma. Il popolo che lo ha salutato con gran festa al suo primo affacciarsi in San Pietro, ha colto subito, nelle iniziali parole, un accento che via via nei seguenti giorni si è potenziato, e si sta chiarendo. Al popolo quell'accento è piaciuto. Non era, come avevano scritto i giornali che si autodefiniscono intelligenti e illuminati, l'accendo freddo di un censore, di un giudice delle debolezze umane. Il popolo ha colto subito: era l'accento di un uomo certo e semplice. E tanti, anche tra i lontani, hanno ringraziato il cielo, o chissà chi, per aver mandato un uomo così. Questo Papa sta mettendo il suo accento sulle parole che la cultura e la propaganda dominante vorrebbero sottrarre all'esperienza della fede. La parola "desiderio", la parola "male". Ha messo l'accento sul desiderio di felicità degli uomini. Ha detto più volte: Gesù Cristo è interessante perché risponde al desiderio di felicità piena. È l'unica risposta. È l'unico a prenderlo sul serio. Offre il centuplo. Ha messo l'accento sul fatto che quella grande , strana cosa nominata Chiesa vive nella storia perché Dio ama il desiderio di felicità dei suoi figli. Desiderio mille volte strumentalizzato, violato, deriso, frainteso nel mondo di oggi. Preso in giro.
In questo primo mese, più volte, il Papa ha invitato tutti (compresi coloro che della Chiesa sono membri e clero) a prendere sul serio il desiderio di felicità dell'uomo. A non avere paura che Cristo incontri proprio la profondità di quel desiderio. E ieri, ancora una volta, commentando il film sulla vita del suo amico e predecessore, Karol Wojtyla, ha messo il suo accento sulle grandi ferite della storia. Ha detto: «Come non leggere alla luce di un provvidenziale disegno divino il fatto che sulla cattedra di Pietro, ad un Pontefice polacco sia succeduto un cittadino di quella terra, la Germania, dove il regime nazista poté affermarsi con grande virulenza, attaccando poi le nazioni vicine, tra le quali in particolare la Polonia? Entrambi questi Papi in gioventù, seppure su fronti avversi e in situazioni differenti, hanno dovuto conoscere la barbarie della seconda guerra mondiale e dell'insensata violenza di uomini contro altri uomini, di popoli contro altri popoli».
«Non siamo in Paradiso. La preghiera popolare alla Vergine, il Salve Regina, ce lo ricorda con realismo: camminiamo in una valle di lacrime. Basta guardarsi attorno, accendere la tv. A questo non si risponde con una presunta e violenta utopia. La menzogna di chi ritiene che l'uomo sia un meccanismo che pian piano si perfeziona fino a che, come diceva Eliot, non ci sia più bisogno di essere buoni». Ha soggiunto Papa Benedetto XVI: «Perdonare, ricordava ancora l'amato Giovanni Paolo II, non significa dimenticare, e aggiungeva che se la memoria è legge della storia, il perdono è potenza di Dio, potenza di Cristo che agisce nelle vicende degli uomini» ;. Il perdono è l'unica forza che rende la vita, questa valle, abitabile. L'unica forza di libertà profonda. Perché libera dalla schiavitù di tutti i padroni. Anche del male o del dolore, togliendo il veleno della solitudine e mostrando vicina una speranza.